Amore e fluidità
“E’ assolutamente irrazionale aspettarsi che una sola persona soddisfi tutti i nostri bisogni affettivi e sessuali.” A. Kollontaj
Pene d’amor perdute
Fra gli aspetti più ambigui della nostra vita vi è senz’altro l’amore: etero, omo, coniugale, adulterino, filiale, amicale, corrisposto, tradito, rinnegato , ricercato, evitato, esaltato, disprezzato….investito, a torto o a ragione, di esaltanti aspettative di felicità o accusato di essere la fonte del più amaro dei dolori. E’ una delle criticità principali che porta le persone a ricercare l’aiuto di un counselor o di un terapeuta. E’ un ambito dell’esistenza che ci trova spesso smarriti, delusi, tentati da manovre di evitamento (come i nobili della commedia di Shakespeare) o travolti da copioni compulsivi (come il Dongiovanni di mozartiana memoria).
Il presente saggio affronta la sfida di dimostrare che la maggior parte delle “pene” legate all’amore che viviamo quotidianamente si appesantiscono perchè confrontate con un modello, quello della coppia monogamica, considerato come assoluto, ed assumerebbero altre valenze se contemplate da un’altra prospettiva. Si intende esplorare un paradigma differente: quello della “non monogamia consensuale”, o delle relazioni etiche non monogamiche, altrimenti detto “poliamore”, in un’ottica non di contrapposizione ma di integrazione, che tiene conto delle luci e delle ombre, degli esiti positivi e di quelli problematici.
L’amore nella società fluida
La metafora della liquidità, da quando Bauman l’ha coniata[1], ha marcato i nostri anni ed è entrata nel linguaggio comune per descrivere la modernità nella quale viviamo. Individualizzata, privatizzata, incerta, flessibile, vulnerabile, nella quale a una libertà senza precedenti fanno da contraltare una gioia ambigua e un desiderio impossibile da saziare. Bauman definisce “liquida” la società contemporanea, per indicare che in essa tutto è momentaneo, fluido, cangiante, ambiguo, precario.
“Con la crisi del concetto di comunità emerge un individualismo sfrenato, dove nessuno è più compagno di strada ma antagontista di ciascuno, da cui guardarsi. Questo soggettivismo ha minato le basi della modernità, l’ha resa fragile, da cui una situazione in cui, mancando ogni punto di riferimento, tutto si dissolve in una sorta di liquidità. Si perde la certezza del diritto (la magistratura è sentita come nemica) e le uniche soluzioni per l’individuo senza punti di riferimento sono da un lato l’apparire a tutti i costi, l’apparire come valore e il consumismo. Però si tratta di un consumismo che non mira al possesso di oggetti di desiderio di cui appagarsi, ma che li rende subito obsoleti, e il singolo passa da un consumo all’altro in una sorta di bulimia senza scopo”[2]. La modernità liquida è “la convinzione che il cambiamento è l’unica cosa permanente e che l’incertezza è l’unica certezza”[3].
Il “liquefarsi” delle relazioni sociali ed interpersonali investe e travolge nel baratro dell’incertezza anche l’amore. Assimilato alla dinamica del consumismo, al pari di qualsiasi altra “merce”, appiattito sulla bulimia del desiderio, non è più in grado di offrire alle persone un punto fermo, un “luogo sicuro” in cui trovare sufficiente calore e sostegno, una “tregua al dolore del mondo”[4]. Nel passaggio incessante da un oggetto all’altro, l’amore è sempre “in bilico, sull’orlo della sconfitta. Non acquisterà più fiducia sufficiente a disperdere le nubi e a debellare l’ansia. L’amore è un prestito ipotecario fatto su un futuro incerto e imperscrutabile”[5].
Eppure: siamo così certi che l’impermanenza sia un disvalore? Oltre che all’incertezza, non dischiude forse le porte al cambiamento inteso come possibilità incessante di rinnovamento? In quest’ottica, la società liquida non sancirebbe la morte dell’amore ma incuberebbe una sua rigenerazione nel segno della flessibilità e della permeabilità. La società fluida evoca “relazioni fluide”, capaci di adattarsi con prontezza e fantasia ai cambiamenti (fisiologici o artificiali) della vita di coppia, famigliare e personale, inventandosi soluzioni inedite, massimamente coerenti con i bisogni degli individui, non necessariamente aderenti ai modelli tradizionali, slegate da qualsiasi convenzione e omologazione preconfezionata. Secondo Chiara Fusi, le “relazioni snodate” sono “le relazioni possibili e praticabili oggi, nel momento in cui, come individui, ci mettiamo in ascolto dei nostri reali bisogni profondi”[6].
La società fluida chiama gli amanti a “gestire la loro acqua”, a modellare e rimodellare in continuazione il loro rapporto sulla base delle mutabili esigenze proprie e dei contesti. Si tratta di un percorso di scoperta e ricerca radicali, che non ammette sconti e porta a confrontarsi con modelli alternativi, nella massima centratura su se stessi ed apertura all’Altro.
Il mito della monogamia
Nella nostra società si dà per scontato che il modello in grado di procurare la felicità, la “normalità” in amore, sia rappresentato dalla coppia monogamica, preferibilmente unita dal vincolo matrimoniale e tendenzialmente duratura lungo tutto l’arco dell’esistenza dei coniugi. Ciò porta molte coppie ed individui che non vi si adeguano o neppure vi si avvicinano a sentirsi frustrati e a rincorrere faticosamente obiettivi illusori.
Nella realtà dei fatti, molti sono gli elementi che smentiscono tale modello.
“La centralità che socialmente e culturalmente diamo alla coppia costruisce un muro intorno ad essa che ci impedisce di inserirla in un quadro comune con il resto delle relazioni della nostra vita. Questo continua ad accadere nonostante il fatto che la maggior parte delle sue caratteristiche tradizionali abbiano da tempo cessato di essere imperativi sociali: dal “per tutta la vita” si è passati alla normalità della monogamia successiva (diversi cambi di partner nel corso della vita); sempre più coppie eterosessuali scelgono di non avere figli; molti adulti decidono di continuare a vivere autonomamente piuttosto che andare a vivere insieme, ecc.[7]”
La storia e l’antropologia offrono numerosissimi esempi di intesa amorosa e di organizzazione sociale alternative alla monogamia: dall’ammissione di amanti all’interno dei gruppi famigliari di alcune tribù amazzoniche alla tradizione dei “padri secondari” tipica di gruppi indiani sudamericani, dal sesso di gruppo rituale praticato presso numerose popolazioni all’amore libero e alla poliandria diffusi presso alcune popolazioni himalayane, dalla poligamia universalmente diffusa nelle culture mediorientali pre-bibliche e tuttora tollerata nella cultura islamica all’istituto del concubinato abituale nell’antichità classica, dallo “scambio delle mogli” praticato dai romani alla “pederastìa” (rapporto amoroso fra un erastès, amante adulto, e un eròmenos, giovane adolescente, veicolo ufficiale della paidéia o educazione civica) tenuta in grande onore dai Greci[8].
Sul piano diacronico, sembra che gli antenati dell’uomo abbiano praticato rapporti con più partner per milioni di anni, fino alla recente (10.000 anni fa) invenzione dell’agricoltura e che l’istituzionalizzazione della monogamia sia strettamente connessa all’affermazione del patriarcato in relazione alla necessità di assicurare la certezza della paternità ai fini della trasmissione dell’eredità della proprietà privata[9].
In Europa, fino alla prima rivoluzione industriale (fine ‘700) “il matrimonio era un contratto economico privato che regolava i diritti e i doveri dei coniugi con il fine di distribuire il lavoro ed assicurare l’allevamento dei figli e l’assistenza nella vecchiaia; l’amore esisteva ma prevalentemente al di fuori del matrimonio. L’idea del matrimonio come istituzione in cui fiorisce l’amore è relativamente recente, diffusasi verso la fine del diciottesimo secolo con il romanticismo. Numerosissimi libri e più tardi film hanno reiterato il modello dell’amore monogamico che supera tutte le difficoltà, porta la felicità e dura per tutta la vita, un modello assolutamente improbabile ma che ha rappresentato un ideale per moltissime persone che hanno continuato a credere ciecamente quanto vanamente nella favola della “anima gemella” e a cui moltissime coppie hanno cercato di attenersi.[10]”
Se si rivolge lo sguardo al mondo animale, non vi si trovano prove cogenti a favore della “naturalità” della monogamia. Anzi in esso vi sono varie soluzioni, tra le quali la monogamia è piuttosto rara. Nella disamina della letteratura relativa, due situazioni mi hanno particolarmente colpito.
Tra i mammiferi e gli uccelli è molto diffusa la monoandria superficiale o di facciata[11] (detta anche “monogamia sociale”), in cui una femmina ha un partner primario con cui si accoppia e che può collaborare con lei per le cure parentali, ma può farsi inseminare anche da altri maschi di passaggio o che abitano in territori limitrofi, eludendo l’eventuale sorveglianza del maschio primario ed a sua insaputa. I bonobo (primati della famiglia Ominidi) hanno un comportamento sessuale interessante. In essi il sesso sembra non essere finalizzato solo alla riproduzione, ma piuttosto a cementare i rapporti sociali. Praticano rapporti sia tra maschi e femmine come tra maschi e maschi o tra femmine e femmine, non nella posizione più favorevole alla fecondazione nè solo nei periodi fertili. Usano il sesso in presenza di competizione per il cibo e nell’incontro fra diversi branchi, per favorire lo stabilirsi di legami tra gli individui che compongono la società[12].
Fra gli animali che praticano la monogamia “temporanea”, una costante è la collaborazione fra il maschio e la femmina nell’accudimento della prole, fino allo svezzamento e al raggiungimento dell’autonomia da parte di questa.
La natura sembra suggerirci dunque che la monogamia è una buona soluzione ai fini dell’efficace allevamento dei cuccioli.
Da tutti questi indizi che le scienze umane e naturali ci offrono, possiamo inferire che la monogamia non è un’istituto naturale, ma un costrutto culturale: è una pratica culturale che è stata costruita e rinforzata dalla nostra società, non il modo in cui gli umani universalmente si comportano.
La consapevolezza di ciò ci consente di ridefinirne i confini, disinvestendola del carattere dell’assolutezza e attribuendole quello della relatività.
Per molti secoli antecedenti l’era attuale la monogamia è stata funzionale alla stabilità sociale e alla riproduzione ordinata della specie. Viviamo un momento storico in cui questa funzione sta cominciando a sgretolarsi, pur mantenendo per alcuni aspetti e per molti individui la propria validità. Il carattere proprio dei costrutti culturali è la loro “maneggevolità”, la sucettibilità ad essere accolti, ricusati, ridefiniti in tutto o in parte in base alla loro “utilità”, efficacia in rapporto ad uno scopo. A mio avviso, tale dovrebbe essere il nostro atteggiamento nei confronti della monogamia: accettarla nella misura in cui rappresenta ancora una soluzione efficace e salutare per sè e il proprio hinterland sociale, metterla in questione nella misura in cui ostacola la nostra gratificazione e piena realizzazione.
Amore e desiderio
Una delle criticità maggiori inerenti le relazioni monogamiche di lungo corso è l’usura del desiderio, che porta ad un appiattimento della vita sessuale o addirittura al suo esaurimento, con la ricerca di compensazione in relazioni extra coniugali (tradimento).
E’ nella natura del desiderio “bruciare” il proprio oggetto. Per durare deve abbassare, affievolire la sua fiamma. “La figura dell’innamorato sembra essere alternativa a quella del marito; quella dell’amante sensuale alternativa a quella della moglie e della madre. Il lessico famigliare è la morte del lessico amoroso? Da una parte c’è il fuoco dell’innamoramento, dall’altra la presenza affettuosa del padre o del marito; da una parte l’erotismo dell’amante, dall’altra la cura attenta della moglie e della madre. Una parte brucia, l’altra dura. Non è forse questo uno dei paradossi più decisivi dell’amore?…Il desiderio brucia o dura senza vita. Non c’è possibilità che l’amore duri bruciando. Durare e bruciare si escludono: se si brucia non si dura e se si dura non si brucia”[13].
L’antitesi fra bruciare e durare, che implica l’incompatibilità di desiderio e amore (o detto in altri termini di amore e tenerezza, trasporto passionale e investimento affettuoso) costituisce il duro nucleo della fenomenologia dell’amore, secondo la psicologia del profondo ed anche secondo il senso comune che si attenga alla lettura della superficie dei vissuti nella società attuale. Degno di nota è il fatto che nel momento in cui la psicologia ha messo in luce tale paradosso (agli inizi del Novecento), tendeva ad ascriverlo alla sfera della patologia, mentre il costume sociale attuale lo consegna alla “normalità” delle relazioni amorose. “Il nostro tempo ha fatto diventare una legge universale la tesi di Freud relativa alla comune degradazione della vita amorosa nel nevrotico”[14].
La contestualizzazione di tale dinamica già apre alla possibilità di metterla in questione, impugnandone i presupposti, ovvero analizzando i concetti fondanti. Saldare desiderio e amore diventa la sfida del nostro tempo, la provocazione da affrontare per trovare la strada dell’unità e dell’armonia, sia che essa si snodi entro i confini della coppia monogamica sia che serpeggi fra i meandri di relazioni poliamorose.
L’intimità dei lontani
Tale ricerca esige di soffermarsi ancora sulla natura del desiderio. “Gli amori che bruciano non sanno durare proprio perchè il desiderio imporrebbe come sua condizione di esistenza il ricambio continuo dell’oggetto. La spinta verso il Nuovo incenerisce lo Stesso rivelandolo come luogo della morte del desiderio”[15]. In realtà il desiderio è cieco , perchè non sa riconoscere che lo Stesso contiene il Nuovo. E’ sempre possibile rivolgere allo Stesso uno sguardo che ne scandagli gli aspetti imperscrutabili, ne rasenti il mistero inassimilabile, rinnovi lo stupore del primo incontro cogliendo e coltivando l’affiorare di qualità rimaste finora latenti o sepolte nell’”ombra”. “Il desiderio è cieco perchè tende a opporre il Nuovo allo Stesso; non sa pensare che il vero volto del Nuovo è solo una piega dello Stesso e non il Nuovo contrapposto allo Stesso… Non è il Nuovo contro lo stesso; ma è il Nuovo nello Stesso, è il Nuovo come una piega interna allo Stesso”[16]. Gli amanti che sanno cogliere il Nuovo nello Stesso sono quelli che hanno maggiori possibilità di riuscire nell’impresa di unire Amore e Desiderio, di “saldare il Nome al Corpo”: essi praticano l’amore come “possibilità di elevare un oggetto alla dignità di un oggetto non seriale ma insostituibile, impareggiabile, unico”[17].
Per fare questo, ognuno dei due deve avere “confidenza con la propria solitudine” e coscienza dell’essenziale, costitutiva, irriducibile differenza dell’altro. L’amore diventa fecondo ed attinge alla possibilità di vivere la durata come rinnovamento (e non come deterioramento), nella misura in cui è saldamente ancorato all’assunto concettuale dell’assoluta Alterità dell’Altro, che sta alla base di gran parte del pensiero del ‘900 (da Lévinas a Lacan). “Lacan, per definire l’incontro d’amore, propone l’immagine dell’incontro tra due esiliati. Sicchè l’amore che dura non si fonda affatto sulla prossimità e sulla fusione dei Due, ma sulla lontananza, sull’incondivisibilità, sull’impossibilità di fare e di essere Uno con l’Altro, sulla solitudine dei Due… L’esistenza dell’amato è un’incognita che non può essere tradotta mai integralmente; il suo cuore che io sento nel mio resta il suo, il suo corpo che io sento nel mio resta differente dal mio, la sua vita che io sento unita alla mia non è mai la mia”[18].
L’amore vero è l’incontro fra due solitudini, l’intimità dei lontani. Gli amori capaci di “mantenere il bacio”, capaci di durare senza smettere di bruciare, che smentiscono la tesi del rapporto inversamente proporzionale tra l’intensità del desiderio e la durata del legame, sono quelli “gloriosi e quotidiani” che sanno esplorare e valorizzare il mistero (sia in se stessi che nell’altro), trovare il Nuovo nello Stesso, provocare l’inedito, sovvertire all’occorrenza gli schemi di comportamento e gli stili di relazione usuali, accogliere l’irriducibile diversità dell’altro. “Il Due non è una marmellata empatica, un’immedesimazione senza differenza, un’intimità senza desiderio, ma è rapporto tra non-eguali, esperienza di condivisione dell’incondivisibile, “amicizia stellare” direbbe Nietzsche, intimità dei lontani. Si tratta della grande impresa dell’amore, di una vera e propria opera: far durare il desiderio nel tempo, l’Eros nel tempo, l’incontro nel tempo. Mistero profondo dell’intersezione tra caducità ed eternità”[19].
In principio era il Due
A contrastare in parte la concezione dell’amore come intimità dei lontani sta un mito fondante dell’immaginario collettivo occidentale sull’amore: il mito dell’androgino, formulato da Platone nel Simposio[20]. Esso allude piuttosto ad una concezione dell’amore come “ricostituzione della Totalità”, fusione nell’Uno dei Due originariamente connessi e crudelmente separati dall’ira della divinità. Ma, a ben guardare, anche questo mito può essere interpretato in un senso coerente col ragionamento svolto finora ed anzi dischiudere significati ulteriormente arricchenti.
Lascio la parola a Recalcati, che lo riassume con efficacia: “Il mito di Eros raccontato da Aristofane (nel Simposio) scandisce in tre tempi la genesi (dell’amore). In un primo tempo sarebbero esistiti esseri androgini, ermafroditi cilindrici che possedevano entrambi i sessi. La loro autosufficienza e la loro arroganza li spinsero ad assalire il cielo, sfidando la potenza di Zeus. Per questo nel secondo tempo del mito egli interviene tagliando in due il loro essere. Ma le metà separate erano sofferenti e tristi. Mosso a pietà, Zeus- ed è questo il terzo e ultimo tempo del mito- sposta sul davanti i loro sessi ormai separati consentendo l’accoppiamento. Per questo ogni metà separata ricerca la sua parte perduta. Platone chiama amore questa “caccia dell’intero”, questa spinta al “recupero dell’antica unità”, questa aspirazione a ricomporre l’Uno dell’Origine, che ha subito l’offesa della divisione”[21].
E’ ben vero che questo mito ha contribuito a generare e consolidare nel senso comune l’illusione dell’”amore sferico”, dell’amore come ricomposizione dell’intero, come Uno: illusione , nella misura in cui, i Due, essendo irriducibilmente diversi ed estranei, non potranno mai attingere la fusione, immedesimarsi, fare Uno della loro meravigliosa, sorprendente e sempre spiazzante Dualità. Ma è anche vero che con questo mito Platone ribadisce la “natura mancante di Eros”: ogni Uno, nell’incontro col suo Due, non ricostituisce realmente la totalità originaria, ma attinge un’unità provvisoria e “palliativa”, in grado di lenire ma non di sanare la ferita che resta costitutiva dell’individuo.
L’individuo è irrimediabilmente consegnato alla propria irriducibilità. Perciò l’amore è “intessuto di mancanza”. La libertà assoluta dell’amato ne sancisce l’impossibilità del possesso esclusivo. Ogni amore, anche il più grande, anche quello che nel culmine dell’estasi ha promesso fedeltà eterna, può morire, per estinzione (indifferenza) o per tradimento (spergiuro). “Ogni amore può conoscere in ogni istante la sua fine… cammina sempre sul filo teso e sottile dell’apparizione e della sparizione, della vita e della morte”[22].
Perciò l’amore esclude il possesso. Amare l’altro è amare la sua libertà assoluta. “E’ la bellezza miracolosa dell’amore: amare tutto dell’Altro senza mai poter essere un tutto con l’Altro. Essere attratti dal suo mistero, dal suo segreto, dalla sua alterità che non possono mai essere nostri. Per questo Lacan affermava… che quando si ama si ama sempre una donna. Se la donna è il nome dell’eteros, dell’alterità, della sua impenetrabilità, inappropriabilità, allora amare è sempre amare l’eteros… non c’è amore che non sia amore per l’eteros… ci espone all’incontro con la differenza inassimilabile dell’Altro… esclude l’omogeneo, l’omo, la somiglianza, l’identità”[23].
Amare significa assumersi un rischio: il rischio costante ed insopprimibile di perdere l’altro. Amare veramente significa amare la libertà dell’Altro. “Questo è il sogno di ogni innamorato: possedere la libertà dell’amato in quanto libertà. Possedere la sua libertà lasciandolo libero…il mio stesso desiderio amoroso può esistere solo grazie alla libertà dell’altro… non posso comprare, incarcerare, possedere la libertà dell’eteros, ma solo amarla nella sua alterità. Nondimeno amarla significa coglierne il carattere sfuggente e irraggiungibile”[24].
Per questa ragione l’essere in amore è sempre un “essere in fuga”, per costituzione e per definizione precario, “mancante”. “L’esperienza dell’amore mina sempre la nostra identità rendendoci mancanti. Destabilizza la nostra autosufficienza rendendoci dipendenti dall’Altro”[25].
Per P. Roth, “l’amore non unifica affatto, ma divide, spezza, apre in due. Divide perchè espone la nostra vulnerabilità, evidenziando il carattere inguaribile della nostra mancanza“[26].
Il dipanarsi di questo ragionamento ci porta al riconoscimento dell’irriducibilità tanto dell’Uno quanto del Due: costitutiva della natura umana fin dall’origine o frutto di “separtizione” per mano divina o comportamento umano, la dualità, o meglio la molteplicità, definisce l’identità dell’uomo nella dimensione mondana. Sia la mitologia che la filosofia le attribuiscono la funzione di risanare tale identità, “aprendola” all’incontro, che non può che arricchirla pemettendole di attingere quelle dimensioni e quegli obiettivi che nella solitudine gli sono preclusi.
In principio non è (solo) l’Uno, ma il Due. La relazione è ontologica, costitutiva dell’essenza umana. E tanto più ricca è la relazione (tanto più è ampia e variegata la rete relazionale del singolo), tanto più forte è l’individuo. L’androgino era talmente potente da insidiare il primato degli dei.
L’individuo atomizzato della “società liquida” può recuperare consistenza e trarre forza e gratificazione dalla costruzione di relazioni “buone”, amichevoli e amorose, con i suoi consimili, se non sul terreno delle macrostrutture (Stato, istituzioni, comunità sociali), ormai squalificate, su quello delle microstrutture (amore, amicizia, reti famigliari) che ancora sono in suo potere. Il pluralismo relazionale ci indica la via per “ricondensare” l’amore, o meglio “gli amori”, che possono dare senso alla vita dei singoli nella nostra società. Senza dimenticare il pluralismo sessuale. “…quello che è importante nel mito dell’androgino è il racconto di un momento originario in cui gli esseri umani non avevano una sola opzione sessuale: alcuni, gli androgini, ne avevano due e potevano liberamente scegliere tra quella dettata dalla loro parte maschile e quella dettata dalla loro parte femminile. Solo in un mondo successivo, a seguito di un castigo divino, l’umanità non avrebbe più avuto alcuna opzione in materia”[27].
Apologia del tradimento
Rispetto al pluralismo relazionale evocato dalla dimensione dell’amore assunta in tutta la sua estensione, la coppia, quando non trasfigurata dall’impegno quotidiano a rinnovarla nella durata, può rivelarsi claustrofobica. La coppia “lasciata a se stessa”, lasciata andare alla deriva della propria involuzione legata all’eccesso di famigliarità, avvolge gli amanti in un reticolo di copioni autoperpetuantisi, cui ineriscono noia e stanchezza.
La via di fuga più comunemente cercata dagli individui che si trovano in questa situazione è il tradimento, tanto diffuso nella società contemporanea quanto stigmatizzato dalla morale corrente.
Il tradimento non è la soluzione alla deriva dell’amore. Occorre tuttavia distaccarsi da un (pre)giudizio di condanna, per coglierne le valenze paradossalmente positive.
Aldo Carotenuto istituisce un’equivalenza sconcertante: “Amare e tradire, nella mia ottica, non sono due momenti diversi del rapporto affettivo; e non si tratta nemmeno dell’ovvia constatazione che uno dei due non esclude l’altro (si può tradire e continuare ad amare, si può amare e continuare a tradire), ma di qualcosa di più radicale: i due concetti sono inseparabili, non possono non coincidere. Potremmo dire che amare è tradire”[28].
Secondo la psicologia junghiana, la “trasgressione” è la spinta evolutiva che promuove la crescita degli individui e delle società. Innanzitutto, il “processo di individuazione” esige che l’individuo, per essere fedele a se stesso “tradisca” il contesto di appartenenza. “All’origine stessa dell’individualità del singolo, incombe un tradimento. E’ necessario tradire per non tradirsi. L’individuo cioè è consegnato all’imperativo, inscritto nella stessa dinamica evolutiva della psiche, di affrancarsi, di emanciparsi da tutto ciò che lo mantiene fedele a un’immagine di sè che non gli corrisponde, e che invece incarna il desiderio dell’altro o risponde consenziente alle richieste dell’ambiente sociale”[29].
In secondo luogo, l’individuo incontra il tradimento nel rapporto di coppia, nella misura in cui lo identifica come “il luogo di tutte le attese: attese di completezza, di totalità, di riscatto… di una riunificazione con l’”altro”….che il partner sembra per un certo tempo incarnare, facendosi portatore di una promessa che attraversa il tempo del mito e la storia della religione – quella cioè di una unità originaria che l’uomo ha dolorosamente perduto. Rispetto ad aspettative così alte, il partner non può che apparire inadeguato, e divenire col tempo “colpevole” di non aver dato abbastanza… E’ dunque un reciproco tradimento quello che l’uno perpetra nei confronti dell’altro e, certo, di se stesso, coltivando l’inconscia aspirazione al ripristino di una condizione di originaria indifferenziazione e fusione che può avverarsi solo per il tempo magico dell’innamoramento. L’idealizzazione dell’amore significa di fatto il suo tradimento”[30].
Si potrebbe dire che gli amanti si tradiscono a vicenda già nel momento in cui si innamorano (idealizzando l’immagine dell’altro e proiettandovi narcisisticamente l’immagine idealizzata di se stessi), ma tale “tradimento” è fisiologico e salutare nella prima fase del rapporto (fase estatica). Diventa disfunzionale, nella misura in cui si protrae nel tempo, inducendo ciascuno degli amanti a continuare ad investire l’altro dell’aspettativa di procurargli la felicità. Il tradimento inerisce il bisogno di fusionalità e dal piano psicologico passa a quello pratico (“passa all’atto”) nel momento in cui la fusione si svela per quello che è: intrinsecamente illusoria. Tradisco l’essere amato nel momento in cui mi “delude”, mi rendo conto che non corrisponde all’immagine ideale che mi sono costruita di lui, non risponde più ai miei bisogni. A questo punto il tradimento diventa un “passaggio obbligato verso il riscatto della propria identità”[31].
“Se l’altro è accettato solo nella misura in cui corrisponde a delle aspettative, allora il tradimento può essere letto come il tentativo di liberarsi dal ruolo in cui ognuno ha relegato l’altro, dalla parte che ha recitato per l’altro. Il tradimento può essere letto quindi non solo come abbandono del partner, ma anche come tentativo di riconoscimento di quelle parti di sè soffocate nella relazione. Se nella coppia le fantasie fusionali hanno privato entrambi della percezione dei confini della propria identità, il tradimento si propone di ristabilirli. E’ per questo che sosteniamo che il tradimento è un passaggio inevitabile nella storia di due persone che si amano: è un momento di apertura verso l’esterno e verso l’interno, un momento di riconquista della propria identità”[32].
A mio avviso, la spinta a riscattare la propria identità, a ristabilire i confini del Sé prevaricati dalle fantasie fusionali non esaurisce la fenomenologia del tradimento (che può muovere da motivazioni più futili), ma ne rappresenta la struttura profonda. In tal caso, il tradimento non deve necessariamente esitare nella rottura del rapporto di coppia, ma può fungere da preludio ad una sua rifondazione, su basi più realistiche e mature, a patto che i protagonisti accettino di lavorare sui rispettivi vissuti (la perdita in chi subisce il tradimento, la colpa in chi tradisce), “mantenendo il bacio” del confronto aperto ed assiduo.
Ma c’è di meglio
Se il tradimento può essere un passaggio obbligato nel processo di crescita di una coppia, esso resta comunque un trauma violento e una ferita difficile da risanare, perchè implica la perdita della fiducia. Esiste tutto un movimento di pensiero, che assumendo come punto di partenza il rinforzo della fiducia fra partner e aborrendo il tradimento, si orienta all’esplorazione di relazioni plurime che siano in grado di soddisfare i diversificati bisogni affettivi e sessuali degli individui. Si tratta del poliamore, nato come filosofia e come stile di vita nell’America della controcultura degli anni Settanta e consolidatosi nei decenni successivi fino ad espandersi anche negli altri continenti, assumendo visibilità sempre maggiore in Europa e perfino in Italia.
Il poliamore consiste nel mantenere con più persone relazioni amorose in forma simultanea, con il consenso di tutti i coinvolti. “Il concetto di poliamore si fonda sull’idea che sia possibile intrattenere più relazioni intime contemporaneamente, amando in modi diversi persone diverse. Una relazione poliamorosa è una relazione intima, sessuale e/o romantica che lega tra loro più di due partner e che presuppone la consapevolezza e il consenso di tutte le persone coinvolte”[33].
La parola poliamore può essere fuorviante. Le persone che lo praticano preferiscono usare l’espressione “relazioni non monogame etiche”, dove il fulcro è sull’aspetto dell’etica, cioè della piena trasparenza e consapevolezza con cui tutte le parti coinvolte vivono le loro relazioni[34]. All’interno di questo macrosistema esistono poi infinite declinazioni, che possono andare dalla triade (gruppo di tre persone, di qualsivoglia sesso biologico e orientamento sessuale, coinvolte complessivamente in una relazione sessuale e/o romantica), al rapporto primario tra due persone aperto anche ad altre relazioni vissute da ognuna delle parti in maniera autonoma, dalla frequentazione occasionale di più partner (i quali sono tutti al corrente della situazione relazionale di ognuno) al matrimonio di gruppo.
Al di là delle situazioni estreme che si possono presentare nella pratica, quello che ci interessa in questa sede è il cambiamento di paradigma che il poliamore implica e i principi su cui si basa.
Per un’economia dell’abbondanza
Il modello del matrimonio monogamico si fonda su un’ “economia della penuria”. “Molte persone credono, in maniera più o meno consapevole, che le nostre capacità di costruire amore, intimità e connessione siano finite, che non ce ne siano mai a sufficienza per tutti e che per darne un po’ a una persona sia necessario toglierne a un’altra”[35].
I teorici del poliamore propugnano un’”economia dell’abbondanza”, in base alla quale l’amore sarebbe un sentimento illimitato, che si moltiplica con il donarlo, l’offrirlo a più persone, promuovendo in tutti una crescita esponenziale del coinvolgimento affettivo e sessuale, foriera di appagamento e gioia. “Nell’amore possessivo di coppia ognuno vuole avere l’altro tutto per sè; si tratta di un possesso reciproco, che quindi esclude ogni altra relazione. Ma il vero amore consiste soprattutto nel dare e non nel ricevere (Fromm, 1956). Concepito l’amore in tal modo, non vi è alcun motivo perchè non possa essere rivolto a più persone; se infatti si fa un dono ad una persona, non si vede perchè non se ne possa fare un altro ad un’altra persona. Inoltre l’amore secondo la modalità dell’essere (Fromm 1976) non è possessivo, è conoscenza, è portare alla vita ed aumentare la vitalità dell’altro. Anche sotto questo aspetto, non vi è alcun motivo perchè l’amore non possa essere rivolto a più persone. Se l’amore è concepito secondo la modalità dell’essere (Fromm 1976), cioè come un sentimento che vuole il bene dell’altro, e cioè che vuole che l’altro sia felice e si sviluppi secondo i suoi bisogni, allora deve consentire relazioni multiple del partner nell’interesse di quest’ultimo… Non si capisce perchè l’amore, a differenza di altri sentimenti, debba essere diretto verso una sola persona… L’amore è disponibile in quantità illimitata, e se si dà amore, dopo se ne ha più di prima. Pertanto si può dare amore anche a più persone”[36]. (Consiglio, p.62)
Ritengo quest’argomentazione di Consiglio (basata su un’interpretazione personale di Fromm) una provocazione su cui riflettere. Condivido la convinzione che sul piano teorico l’amore sia un sentimento illimitato che si accresce col diffonderlo, ma è anche vero che il rapporto di coppia implica un “sequestro libidico” equivalente ad un investimento del potenziale amoroso in un’unica e speciale situazione. Chapeaux alla coppia che, nella società attuale, nonostante i condizionamenti sociali e culturali, riesca a “dissequestrare” la propria libido mettendola a disposizione del mondo o, più banalmente, di altre relazioni amorose. L’”economia dell’abbondanza” sembra assumere i connotati dell’utopia. Ma ogni utopia, si sa, funge da “idea regolativa” per l’apertura di piste esplorative verso “cieli e terre nuove” in cui l’uomo possa sperimentare maggior benessere.
Ben venga quindi la fiducia della comunità poliamorosa nell’infinità del potenziale amoroso. “Noi crediamo che il potenziale umano per il sesso, l’amore e l’intimità sia molto più grande – probabilmente infinito – di quanto la maggior parte delle persone pensi e che avere molti legami soddisfacenti permetta a tutti di averne, semplicemente, molto di più. Provate a iimmaginare come sarebbe vivere in un’abbondanza di sesso e di amore, sentire di avere dell’uno e dell’altro tanto quanto se ne desidera, liberi da sentimenti di privazione e di bisogno. Immaginate quanto vi sentireste forti se esercitaste i vostri “muscoli dell’amore” così tanto, e quanto amore avreste da dare!”[37].
Ripensare il sesso
La filosofia poliamorosa implica una valorizzazione del sesso in tutti i suoi aspetti e forme. Questa si basa su due presupposti fondamentali.
Il primo è la convinzione che “amore e sesso sono il fine, non il mezzo”. “Una relazione può avere valore semplicemente perchè procura piacere sessuale alle persone coinvolte; non c’è niente di male nel fare sesso per il piacere di farlo. Oppure può comprendere il sesso come una via verso altre bellissime sensazioni – intimità, connessione, amicizia, anche amore romantico – senza che questo cambi alcunchè rispetto alla fondamentale bontà del sesso come fonte di piacere”[38].
Il secondo presupposto è l’identificazione di sesso e amore. “Nella nostra società si tende a pensare che prima viene l’amore, e poi il sesso. Nella nostra società il sesso è considerato un peccato, che però viene scusato, o anche giustificato, se il sesso è accompagnato dall’amore… In tutti i romanzi, in tutti i film, i protagonisti prima si amano, poi fanno il sesso. Eppure spesso è vero il contrario: facendo il sesso, nasce l’amore. Infatti l’eccitazione sessuale causa la secrezione di ossitocina, la quale causa l’innamoramento. In questo caso, l’amore e il sesso sono due aspetti della stessa realtà. In questo senso, l’attività sessuale è un’attività spirituale, perché produce l’amore, che è un sentimento e quindi un’attività dello spirito. Fare il sesso con la persona amata dà un grandissimo piacere, e fare il sesso con più persone amate e ricettive può dare un piacere ancora più grande”[39].
In questo quadro, il principio che più conta è la “personalizzazione della scelta”. Dato il sesso come un universo infinitamente variegato e multiforme, che comprende una gamma molto vasta di esperienze, tutte parimenti “buone” (dal rapporto tradizionale al sesso trasgressivo, dalla masturbazione all’orgia, dal menàge a tre allo scambio di coppie, dalla relazione eterosessuale a quella omo e bisessuale, dal gioco al Tantra…), sta all’individuo ascoltarsi, individuare i propri bisogni e le proprie propensioni e negoziare con il partner o i partner le soluzioni più gratificanti per sè in una determinata fase. Il privilegio e la responsabilità della scelta competono all’individuo, non derivano da modelli preconfezionati. “Tutti possono essere liberi di esplorare la sessualità nel modo che vogliono, esprimendone tutto il potenziale. Esistono infiniti modi di relazionarsi e di vivere la propria sessualità, non solo quelli che siamo abituati a prendere in considerazione e a considerare validi, giusti e adeguati. Ognuno può imparare a negoziare la relazione che desidera, con il consenso dell’altro – o degli altri – partner”[40].
Questa grande disponibilità all’esplorazione e alla libertà sessuale avvicina la comunità poliamorosa al mondo LGBTQ, di cui spesso costeggia il territorio.
Ma il corollario più interessante di questa visione mi sembra un’espansione della concezione del sesso oltre la specificità degli atti che usiamo definire sessuali, fino ad identificarlo con la stessa energia vitale. “L’energia sessuale pervade ogni cosa, costantemente; la inaliamo nei polmoni e la trasudiamo attraverso i pori… Pensiamo che l’energia erotica sia dappertutto: nel respiro profondo che ci riempie i polmoni mentre entriamo in un tiepido mattino di primavera, nell’acqua gelida che sprizza sulle rocce in un torrente, nella creatività che ci porta a dipingere quadri, a raccontare storie, a fare musica e a scrivere libri, nella tenerezza amorevole che proviamo nei confronti degli amici, dei familiari e dei nostri bambini”[41].
Questa ridefinizione dei confini del sesso fino a quasi ad annientarli, ci sembra offra ulteriori possibilità di libertà all’individuo, il quale può investire il proprio potenziale sessuale su qualsiasi oggetto e in qualsiasi attività la sua personalità prediliga sentendosi pienamente immerso nel respiro sensuale del mondo e parte attiva di tale fecondità. L’effetto terapeutico di tale visione è l’immediata caduta delle fobie, ansie da prestazione, complessi di inferiorità causati dal confronto con gli standard erotici della società consumista. “La definizione migliore che possiamo dare al riguardo è questa: sesso è qualsiasi cosa sia ritenuta tale dalle persone che lo praticano. Per alcuni, le sculacciate sono sesso; per altri, indossare calze e reggicalze è sesso. Se voi e qualsiasi altra persona vi sentite sessuali quando mangiate una coppa di gelato insieme, allora questo è sesso.[42]”
La zoccola etica
Il poliamore non è una fuga da una relazione profonda, ma il volerne più d’una e di eguale profondità ed impegno. Molte persone poliamorose hanno un gran desiderio di vivere relazioni profonde ed impegnate e citano quale esito di questo impegno benefici come “la varietà sessuale, la minore dipendenza da una singola relazione, o un senso di appartenenza a una rete di amici, amanti e partner”[43].
La strada del poliamore è impegnativa e rigorosa. Non può rappresentare neppure la soluzione a una crisi di coppia, dato che esige una scelta consapevole e determinata da parte di entrambi i partner, quale può essere effettuata solo da persone mature e tendenzialmente risolte, o perlomeno costantemente attente al proprio equilibrio.
Dossie Easton e Janet Hardy, due counselor americane autrici del manuale sul poliamore attualmente forse più autorevole disponibile sul mercato[44], hanno coniato l’espressione “zoccola etica” per indicare ogni persona, di qualsivoglia sesso ed orientamento sessuale, che scelga la strada
della non monogamia consensuale impegnandosi a rispettare un “codice etico” di comportamento finalizzato a generare il maggior benessere e piacere possibili riducendo al minimo il dolore, la confusione, il conflitto.
L’etica, il consenso, la sincerità, la cura sono elementi fondanti in una relazione poliamorosa tanto quanto in una relazione monogama e una “buona zoccola”, per essere in grado di essere felice e rendere felici i propri partner, deve sviluppare una serie di qualità eminentemente “etiche”[45]. Innanzitutto la capacità di comunicazione: essere in grado di ascoltare efficacemente il punto di vista dell’altro e di spiegare esaurientemente il proprio, non escludendo di ricorrere alle tecniche di “ascolto attivo”. Poi l’onestà emotiva, ovvero l’”essere in grado di chiedere e ricevere rassicurazione e sostegno”[46] quando si sta per affrontare un situazione che mette a disagio. Parallellamente, la capacità di dare affetto, cioè di “offrire rassicurazione e sostegno al partner, tanto in risposta a una richiesta quanto di nostra iniziativa”[47]: ovvero l’abitudine a dire ai nostri partner quanto li amiamo, omaggiarli di complimenti sinceri, dire loro quanto troviamo di meraviglioso nelle loro persone. A seguire, la fedeltà, consistente nell’”onorare i propri impegni e nel rispettare gli amici e gli amanti, nel prendersi cura del loro benessere come del proprio”[48]. La capacità di fissare dei limiti: “avere una chiara consapevolezza dei propri limiti, e rispettarli”[49], relativamente sia ai comportamenti sessuali che alle modalità di relazione.
La capacità di pianificare: “le relazioni non piovono dal cielo, al contrario, richiedono lavoro, pianificazione e impegno… Una volta che avete preso un impegno per trascorrere del tempo insieme, rispettatelo”[50]. La capacità di conoscere se stessi, in primis i propri condizionamenti culturali: “significa vivere una continua esperienza di esplorazione, imparare attraverso le letture, la terapia e, meglio ancora, il continuo confronto con persone che stanno compiendo il medesimo viaggio”[51]. Assumersi la responsabilità dei propri sentimenti: non dare la colpa agli altri per come ci si sente, ma imparare che, qualsiasi cosa facciano gli altri, la reazione che proviamo si genera in noi. Essere indulgenti con se stessi, nel caso si incappi in fraintendimenti ed errori. Dire la verità. “Nel corso della vostra esperienza – quando vi capiterà di provare dolore, gioia o emozioni ambivalenti – dovete sempre esprimere la vostra verità, prima con voi stessi, poi con le persone che vi circondano“[52]. Niente crea tanta intimità quanto la condivisione della vulnerabilità. “L’onestà vi pone nella condizione ideale per offrire sostegno a voi stessi e agli altri, e per riceverne a vostra volta, conducendo una vita fondata sulla comprensione e sull’accettazione amorevole”[53].
Onestà e amorevolezza, dunque, sono i valori che la comunità poliamorosa pone idealmente alla base del proprio funzionamento. Nè più nè meno di quanto ambisce a fare una coppia monogamica eccellente, che ricerca la propria autenticità nella durata. E’ impressionante quanto si sovrappongano le qualità “etiche” praticate dalla coppia e i gruppi poliamorosi e dalla coppia monogamica “non convenzionale”, intendendo con tale termine la coppia che cerca di conciliare amore e desiderio alla ricerca di un’intesa durevole di alto livello. E’ come se l’Amore fosse più grande delle umane distinzioni e ricomprendesse in sé tutte le forme in cui gli umani lo declinano storicamente, dettando ad essi regole universalmente valide.
Disapprendere la gelosia
Un’emozione specifica che le coppie poliamorose si trovano ad affrontare ordinariamente è la gelosia. “Per molte persone, il più grande ostacolo all’amore libero è quell’emozione che chiamiamo gelosia”[54]. Il poliamore scommette sulla possibilità di “disapprendere la gelosia” o quantomeno di disinnescarne il potere distruttivo. Easton e Hardy ritengono che le persone “concedano alla gelosia molto più potere di quanto non meriti”[55].
La chiave consiste nel comprendere che cosa esattamente è la gelosia per ognuno di noi e quali sentimenti sottende. “Gelosia è un termine-ombrello che copre la vasta gamma di emozioni che possiamo sperimentare quando i nostri partner entrano sessualmente in relazione con qualcun altro. La gelosia può essere un’espressione d’insicurezza, paura del rifiuto, paura di essere abbandonati, di essere esclusi, di non essere all’altezza, di essere inadeguati, di essere indegni. La vostra gelosia può essere fondata sulla territorialità, o sulla competitività, o su qualche altro sentimento che chiede a gran voce di essere ascoltato in mezzo al frastuono che essa genera nella vostra mente”[56].
Di fronte al divampare della gelosia, il primo passo corretto da compiere è “permettersi di sentirla”, fare contatto con la propria gelosia, permettendo a tutte le emozioni negative che essa porta con sè (dolore, rabbia, odio, disprezzo di sè) di manifestarsi nel nostro intimo. Un modo per ridurre il potere della gelosia su di noi è permettersi di provarla. “Provarla e basta. Farà male e vi sentirete confusi e impauriti, ma se resterete fermi ad ascoltare offrendo compassione e sostegno al bambino impaurito che è in voi, la prima cosa che imparerete è che all’esperienza della gelosia si può sopravvivere.. Avete la forza per superarla”[57].
E’ nella natura dei sentimenti passare, scorrere naturalmente verso l’altro da sè, nel momento in cui vengono lasciati liberi di fluire. E’ certamente saggio costruirsi tutti i puntelli necessari a resistere all’”inondazione”. In primis, coccolarsi: fare le cose che più ci piacciono, incontrare a nostra volta persone piacevoli, mentre il nostro partner è impegnato in un appuntamento. In secundis, comunicare: esprimere apertamente al partner le proprie emozioni legate alla gelosia chiedendogli rassicurazione e conforto. Ma anche concedersi di stare male, sfogare la propria rabbia in modo esplicito, magari canalizzandola in espressioni non distruttive (imbrattare tele o quaderni, prendere a pugni i cuscini) e limitandola nel tempo.
Il secondo passo consiste nel concentrarsi sulle cose belle che riceviamo dal nostro partner nella relazione corrente. In un’ottica poliamorosa, la relazione con un partner secondario non dovrebbe inficiare quella col partner primario, caso mai rinforzarla. E’ quindi più che legittimo, negli attacchi di gelosia, aggrapparsi alla positività della relazione che si sta vivendo. “Fate una lista di tutto ciò che conta per voi nella vostra relazione… Apprezzate ciò che avete e ciò che ricevete dal vostro partner: tempo, attenzione e amore, le cose belle che vi riempiono il cuore. Non siate il pessimista che guarda sempre a quel che manca, all’energia che si dirige altrove. Quell’energia non è sottratta a ciò che voi ricevete; l’equilibrio delle relazioni non è come quello di un estratto conto. Quindi, quando vi sentite privati di qualcosa, ricordate tutte le cose belle che ricevete dal vostro partner”[58].
Il terzo, e più importante, passo consiste nel riconoscere l’emozione sottostante e lavorare su se stessi. “La gelosia è spesso una maschera atta a coprire il principale conflitto interiore che state vivendo al momento… è l’esperienza di proiettare i propri sentimenti problematici sul proprio partner”[59]. La gelosia può scoperchiare sentimenti di rabbia o di ansia, scaturire dalla sfiducia nel partner o in se stessi (nella propria capacità di piacere), coprire la paura del rifiuto o dell’abbandono. Disistima, sfiducia, paura dell’abbandono sono appunto conflitti interiori che spesso hanno origine in vissuti arcaici (legati alla propria storia famigliare) e minano il proprio benessere a prescindere dal comportamento del partner. Prenderne coscienza attraverso la gelosia significa trovarsi in una posizione eccellente per intraprendere la via della guarigione. “Usate la vostra gelosia come un’indicazione stradale: “lavorare su questo sentimento”. Seguite un corso, unitevi a un gruppo, trovate un buon terapeuta, cominciate a praticare la meditazione – insomma, lavorate su voi stessi… Potreste trarre enormi benefici svolgendo il compito che vi si presenta: guarire vecchie ferite, dischiudere nuove possibilità, vivere in modo più sano e liberarvi dalla paura… E nel corso di tutto ciò, quasi come un bonus, conquisterete anche la vostra libertà sessuale”[60].
L’amore puro
Un amore purificato dalla gelosia è un amore libero dal possesso e dall’attaccamento, che si avvicina molto all’amore proposto dalle tradizioni “sapienziali” di ogni latitudine. Possiamo ricordare la philìa dei Greci, la cui traduzione più pertinente è “amicizia”, che racchiude in sè una pluralità di significati che vanno dalla simpatia, alla tenerezza, all’affinità, escludendo tuttavia i rapporti erotici[61]. Possiamo citare l’amore agàpe lasciato in eredità da Gesù, che indica l’amore gratuito, di colui che dona tutto se stesso agli altri senza prevedere o pretendere nulla in cambio – un amore “espansivo” e “non possessivo”, che attraversa e annulla la separazione degli esseri isolati nel mondo e permette loro di dimorare l’uno accanto e dentro l’altro.
Ma soprattutto la pratica del poliamore evoca da vicino la “via del non attaccamento” buddista, che identifica la libertà nella capacità di vedere ed accettare le cose (e quindi anche le persone) così come sono realmente, “senza evitare, eliminare, reprimere o volere raggiungere alcunchè”[62]. Secondo la filosofia buddista, “l’amore è il desiderio che l’altro sia felice senza riserve. L’attaccamento ci induce a credere che l’altro abbia il dovere di renderci felici, e che questa sia la sua missione nella vita. Se non lo fa, diventa responsabile della nostra sofferenza. L’amore si rivolge all’altro mentre l’attaccamento è incentrato su noi stessi, sui nostri bisogni e i nostri desideri”[63]. La nostra missione sul cammino della saggezza è imparare a distinguere l’amore dall’attaccamento ed arrivare a rivolgere alle persone un amore puro, libero dall’attaccamento, ovvero da aspettative e proiezioni.
L’essenza del poliamore, nella sua forma più coerente, è l’”aprire il nostro cuore a una persona senza alcun’altra aspettativa se non che anche lei ci apra il suo. Amare per la pura gioia di amare, indipendentemente da ciò che possiamo trarne in cambio”[64].
L’amore che non si aspetta nulla in cambio è amore puro, limpido, che può addirittura diventare una via verso la trascendenza.
“Immaginate di vedere la bellezza e le virtù di una persona amata senza preoccuparvi di come le sue qualità possano soddisfare i nostri bisogni o di come il loro aspetto possa farci apparire migliori. Immaginate di vedere l’altro in una limpida luce d’amore, senza tenere conto di quanto quella persona corrisponda o meno alla nostra idea di compagno o amante ideale. Immaginate d’incontrare un’altra persona nella libertà e nell’innocenza dell’infanzia e di giocare insieme, senza pensare a come indurla a darci il tipo di amore che avremmo voluto avere nella nostra infanzia reale”[65].
La trascendenza cui indirizza il poliamore è la consapevolezza dell’inesauribilità dell’energia amorosa e delle infinite possibilità di autorealizzazione che essa supporta. Nel superamento del dualismo che oppone “giusto” e “sbagliato” e delle relative categorie di “scandaloso” o “peccaminoso”, coltiviamo famigliarità con tutte le espressioni dell’amore inerenti la dimensione umana e sviluppiamo la capacità ci accogliere con amorevolezza ogni sfaccettatura dell’umano aprendoci alla massima (ri)conciliazione con gli altri e con se stessi.
“Quando giusto e sbagliato sono le sole opzioni possibili, si finisce per credere di non potere amare più di una persona, o di non potere amare in modi diversi, o di avere una riserva d’amore limitata…Noi vorremmo proporre qualcosa di diverso. Anzichè aderire a questi argomenti semplicistici di tipo esclusivo ( aut aut), considerate invece la possibilità di riconoscere valore a tutto ciò che esiste, senza vedere opposizione tra una cosa e l’altra. Noi pensiamo che così facendo scoprirete che esistono tanti modi di vivere la sessualità quanti sono i modi di essere umani, e che tutti sono ugualmente validi. Esistono infiniti modi di relazionarsi, di amare, di esprimere il proprio genere, di vivere il sesso, di formare famiglie, di stare nel mondo, di essere umani… E nessuno di questi sminuisce o invalida gli altri. Aprendo la mente a una realtà in cui le opposizioni sono superate acquisiamo la capacità di vedere al di là di ideali di perfezione irrealistici e di obiettivi irrealizzabili. Possiamo liberare noi stessi per essere pienamente coscienti della meravigliosa varietà e diversità che c’è nel mondo, proprio qui, nel presente, a portata di mano. Così quella della zoccola può diventare una via verso la trascendenza, una liberazione della mente e dello spirito, un modo di essere nel mondo che consente di ampliare la consapevolezza, di crescere spiritualmente e di amare oltre ogni immaginazione”[66].
Bibliografia
BAUMAN Z., Modernità liquida, Laterza, 2007
BAUMAN Z., Amore liquido, Laterza, 2006
CANTARELLA E., Gli amori degli altri. Tra cielo e terra, da Zeus a Cesare, La Nave di Teseo, 2018
CAROTENUTO A., Eros e Pathos. Margini dell’amore e della sofferenza, Bompiani, 2020
CONSIGLIO C., L’amore con più partner, in http://www.carloconsiglio.it/terza_edizione.pdf, 2014
EASTON D. E HARDY J., La zoccola etica. Guida al poliamore, alle relazioni aperte e altre avventure, Odoya, 2014
FUSI C., Amori snodati. Guida alle relazioni non convenzionali, Odoya, 2015
PLATONE, Simposio, Adelphi, 2013
RECALCATI M., Mantieni il bacio. Lezioni brevi sull’amore, Feltrinelli, 2019
Scritto in Marzo 2022
- Cfr. BAUMAN Z., Modernità liquida, Laterza 2007 ↑
- ECO U., in www.lacittàfutura.it ↑
- BAUMAN Z., in www.lacittàfutura.it ↑
- Cfr. RECALCATI M., Mantieni il bacio. Lezioni brevi sull’amore, Feltrinelli, Milano 2019 ↑
- BAUMAN Z., Amore liquido, Laterza 2006 ↑
- FUSI C., Amori snodati. Guida alle relazioni non convenzionali, Odoya, Città di Castello 2015 ↑
- CAMARA J., Contro la cultura della monogamia, in www.bresciaanticapitalista.com ↑
- Cfr CANTARELLA E., Gli amori degli altri. Tra cielo e terra, da Zeus a Cesare, La Nave di Teseo, Trebaseleghe 2018 ↑
- Cfr ENGELS F., L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, Newton Compton, 2007 ↑
- CONSIGLIO C., L’amore con più partner, p. 17, in http://www.carloconsiglio.it/terza_edizione.pdf ↑
- Ivi, p. 5 ↑
- Ivi, pp. 9-10 ↑
- RECALCATI M., op. cit., pp. 21-22 e p. 100. ↑
- Ivi, p. 115. ↑
- Ibidem. ↑
- Ivi, pp. 119-120. ↑
- Ibidem. ↑
- Ivi, pp. 116-117. ↑
- Ivi, p. 122. ↑
- Cfr. PLATONE, Simposio, Adelphi, 2013 ↑
- RECALCATI M., op. cit., p. 100. ↑
- Ivi, p. 99. ↑
- Ivi, p. 84. ↑
- Ivi, pp. 85-87. ↑
- Ivi, p. 89. ↑
- Ivi, p. 101. ↑
- CANTARELLA E., op. cit., p. 139. ↑
- CAROTENUTO A., Eros e Pathos. Margini dell’amore e della sofferenza, Bompiani, 2020, p. 8. ↑
- Ivi, p. 10. ↑
- Ivi, pp. 11-12. ↑
- Ibidem. ↑
- Ivi, p. 15. ↑
- EASTON D. E HARDY J., La zoccola etica. Guida al poliamore, alle relazioni aperte e altre avventure, Odoya, Città di Castello 2014, p. 12. ↑
- Cfr. https://vdnews.tv/article/poliamore-poliamorosi-italia ↑
- EASTON D. E HARDY J., op. cit., pp. 45-46. ↑
- CONSIGLIO C., op. cit., pp. 61-62. ↑
- EASTON D. E HARDY J., op. cit., p.46. ↑
- Ivi, p. 44. ↑
- CONSIGLIO C., op. cit., p. 3. ↑
- EASTON D. E HARDY J., op. cit., p: 13. ↑
- Ivi, p. 41. ↑
- Ivi, p. 42. ↑
- Ivi, p. 95. ↑
- DOSSIE E. E HARDY J., La zoccola etica. Guida al poliamore, alle relazioni aperte e altre avventure, Odoya, Città di Castello 2014. ↑
- Cfr. Ivi, pp. 97-104. ↑
- Ivi, p. 98. ↑
- Ibidem. ↑
- Ivi, p. 99. ↑
- Ivi, p. 100. ↑
- Ivi, p. 101. ↑
- Ivi, p. 102. ↑
- Ivi, p. 103. ↑
- Ivi, p. 104. ↑
- Ivi, p. 153. ↑
- Ibidem. ↑
- Ivi, p. 157. ↑
- Ivi, p. 162. ↑
- Ivi, pp. 77-78. ↑
- Ivi, pp. 158-159. ↑
- Ibidem. ↑
- Cfr. CANTARELLA E., op. cit., pp. 89-90. ↑
- Cfr. DHIRAVAMSA, La via del non attaccamento, Ubaldini Editore, Roma ↑
- Cfr. https://www.meditazionearoma.it/buddismo-e-meditazione/migliorare-le-relazioni/ ↑
- DOSSIE E. E HARDY J., op. cit., p. 181. ↑
- Ibidem. ↑
- Ivi, pp. 347.348 ↑
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