La filosofia nasce dalla meraviglia. Aristotele sostiene che “gli uomini hanno cominciato a filosofare a causa della meraviglia”, perchè “chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere” e si sente quindi inesorabilmente spinto a partire in esplorazione del senso e del fine dei fenomeni che lo circondano. “Enorme è il potere della meraviglia, che destabilizza, fa crollare le certezze e costringe a interrogarsi sui perchè” (Gaspari) Filosofo è dunque chiunque sia aperto alla vita, disponibile allo stupore, sensibile al fascino eversivo del “perchè”. La curiosità pura, infantile è all’origine della speculazione, che diventa vera e propria ricerca quando si innerva del vigore e del rigore del Logos, il discorso secondo ragione, lo spirito critico che sottopone al vaglio della riflessione, possibilmente condivisa, le “verità” di qualsiasi tipo esse siano che ci vengono incontro nell’esperienza.

La filosofia è attitudine ad “interrogare l’evidenza” e la domanda filosofica per eccellenza è la domanda sul “senso”: da dove vengono, che senso hanno, dove vanno l’uomo e il mondo. Ora, però, il termine “senso” ha tre significati: 1) significato 2) direzione 3) facoltà di sentire. “Parlare quindi di senso della vita significa argomentare riguardo a: 1) il significato del nostro essere qui; 2) la direzione nella quale quotidianamente ci muoviamo; 3) la facoltà che ci consente di percepire il veritiero sapore della vita” (Mancuso) Perciò, a mio avviso, la ricerca filosofica, se vuole realmente supportare l’uomo nel rendere significativo e soddisfacente il quotidiano, deve integrare nel pensiero le altre facoltà umane: sensibilità, emotività, spiritualità.

Un pensiero talmente incisivo da riuscire ad “illuminare” e fecondare la vita non può che essere un pensiero “emozionato” ed oserei dire “innamorato”, che sussume in se tutta la variegata gamma dei palpiti, fremiti, gemiti dell’animo umano e si fa carico di due compiti “eccezionali” nella loro ordinaria complementarietà: il “volo” e la “cura”, lo slancio coraggioso verso l’infinitamente grande e l’attenzione amorevole all’infinitamente piccolo, la tensione ad accogliere e celebrare un’unità superiore ed ulteriore agli accidenti contingenti e divisivi dell’esperienza fenomenica e la pratica quotidiana ed indefessa di comprensione, valorizzazione, co-costruzione delle nostre individualità irriducibili e irripetibili.

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