L’empatia come modo di essere

Che cos’è l’empatia?

Chi frequenta una scuola di counseling si confronta immancabilmente con il tema dell’empatia. Così chi pratica una professione d’aiuto, chi gestisce contesti gruppali, chi è impegnato in una relazione intima… chiunque percorra consapevolmente l’esistenza quale terreno di incontro e scontro fra individui intenti a perseguire il proprio benessere in interazione reciproca.

L’esperienza comune dà l’empatia come costrutto particolarmente pregnante. Varco all’autenticità della dimensione interpersonale. Un ingrediente che, immesso nella trama di rapporti, ne attiva il potenziale trasformativo e rigeneratore, ne distilla il succo squisitamente umano. L’agente di un processo alchemico. La “pietra filosofale” che trasforma nell’oro della relazione amorevole il metallo delle relazioni ordinarie, o meglio converte in arte l’istinto.

Dall’analisi comparata dei diversi sistemi di pensiero che l’hanno tematizzata, l’empatia emerge come una qualità particolare dell’attenzione, che si attua nella sospensione del giudizio: chiave della comprensione dell’altro e di sé.

L’appuntamento con la tesi finale del percorso di studi in Gestalt Counseling presso l’Istituto Punto Gestalt mi ha sollecitato ad indagare il tema dell’empatia da una prospettiva che, partendo dalle formulazioni più tradizionali del costrutto, si slancia verso orizzonti marcatamente speculativi e un tantino “visionari”, finendo per incrociare la dimensione multiforme ed irrinunciabile della spiritualità.

Nel desiderio di chiarificarne natura, funzioni e applicazioni, ho abbracciato delle piste di analisi inedite, che si snodano sul terreno della riflessione filosofica più che su quello della ricerca psicologica, e portano al cuore della questione: l’essenza dei termini che l’empatia mette in relazione e della relazione stessa, lo statuto dell’Io e dell’Altro.

Questo saggio espone la prima parte della ricerca, dedicata alle definizioni classiche dell’empatia e ai loro “padri”.

Il contributo della psicologia dello sviluppo

Per inquadrare preliminarmente il problema in termini generali, sono partita dalla lettura di un agile volume di Albiero/Matricardi, “Che cos’è l’empatia”, edito nel 2006. Esso contiene un riepilogo dei contributi più significativi sull’argomento prodotti dalla ricerca psicologica di ambito cognitivo-comportamentista nel ‘900. In questa sede non conviene ripercorrerne dettagliatamente il contenuto, ma selezionare gli spunti attinenti all’analisi che vado svolgendo.

Gli autori assumono l’empatia quale costrutto psicologico che rimanda alla comprensione e all’accoglienza dell’altro. Essa si specifica in una percezione accurata dei pensieri, sentimenti e comportamenti altrui, che sollecita una risposta adeguata alle istanze in essi insite. Nella determinazione dell’empatia si attivano contestualmente due funzioni della psiche: la componente affettiva (condivisone dell’emozione altrui) e la componente cognitiva (comprensione del punto di vista altrui).

In altri termini l’empatia è condivisone e consapevolezza, consapevolezza e condivisione, o meglio “consapevolezza-condivisione-consapevolezza”, in un rimando incessante e sincronico dall’Io all’Altro all’Io nei tre momenti coessenziali di: assunzione della prospettiva dell’altro (che presuppone studio dei suoi orizzonti di riferimento ed identificazione intenzionale con essi), condivisone della sua emozione (sensazione “istantanea” del suo vissuto), risposta congruente alla situazione (attivazione dell’io in modo adeguato al messaggio contenuto nel vissuto dell’altro).

A partire dagli anni ’60 del secolo scorso, la ricerca psicologica si è orientata a sviluppare e circoscrivere in modo sempre più accurato dei modelli “multifattoriali” o “multidimensionali” di interpretazione dell’empatia che diano conto dell’essenziale interconnessione di livelli che la costituisce.

Trattasi di modelli descrittivi del “funzionamento” dell’empatia quale comportamento umano, delineatisi in seno alla psicologia dello sviluppo.

Gli autori citano quali padri di tali approcci integrati Feshbach, Strayer, Davis, Hoffman, indicando nel modello di Hoffman (che integra la componente motivazionale) il più esaustivo, oltre che il più recente in ordine di tempo.

Citiamo a titolo di esempio l’interpretazione di Norma Feshbach (1987), così riassunta dagli autori.

“Feshback sostiene che l’empatia… sia costituita da tre componenti…La capacità di decodificare gli stati emotivi vissuti da altre persone: consiste nel sapere utilizzare indici rilevanti per riconoscere ed etichettare le emozioni provate dagli altri; la capacità di assumere il ruolo e la prospettiva di un altro: consiste nel comprendere che gli altri, in quanto diversi da sé, possono vedere e interpretare le situazioni in modo differente dal proprio. In altre parole, si fonda sul sapersi mettere al posto degli altri, assumendone il punto di vista; la capacità di rispondere affettivamente alle emozioni provate da un’altra persona: capacità di sapere condividere in modo vicario lo stato d’animo degli altri”[1].

La capacità di decodifica, la capacità di role/perspective taking, la responsività emotiva, svolgendo un’azione integrata, generano i comportamenti empatici. L’empatia fa capo a delle abilità psichiche, che possono essere sviluppate attraverso l’addestramento. Correlato a questa costellazione di posizioni è lo sviluppo di un’”educativa dell’empatia”, che verte sulla somministrazione di test e la messa a punto di training. In epilogo al volume, gli autori illustrano due interessanti esempi: l’Empaty Training Program (Feshbach et al., University of California, 1983) e il corso di educazione affettiva ideato da D’Agostini, Ordiner, Matricardi (2005).

Prima di abbandonare il terreno della psicologia dello sviluppo, tratteggiamo altre due posizioni, che integrano nella multifattorialità alcuni aspetti a nostro avviso cruciali.

Bischof-Kohler (1991) ripercorre l’evoluzione della funzione nello sviluppo dell’individuo umano. Egli definisce l’empatia come “l’esperienza attraverso cui si comprende lo stato emotivo di un altro condividendone l’emozione, ma restando consapevoli che tale emozione, pur condivisa, appartiene all’altro”[2].

Condizione dell’empatia è l’abilità di oggettivazione del sé (cioè la capacità di considerare sé e l’altro come entità distinte). Lo sviluppo dell’empatia evolve parallelamente al sistema cognitivo.

Nei primi due anni di vita, i bambini, non disponendo di una concezione del sé completamente separato, sperimentano forme embrionali di empatia, più simili al contagio emotivo.

Intorno ai due anni e mezzo, si sviluppa un concetto di sé riflessivo (reflective self concept), cioè i bambini riconoscono se stessi come diversi dagli altri a livello fisico e psicologico e sono quindi capaci di oggettivare il sé. “Grazie a questa acquisizione, la componente affettiva si arricchisce di quella socio cognitiva, che consente di condividere l’emozione dell’osservato restando consapevoli che l’emozione condivisa proviene dall’altro”[3]. Scatta il meccanismo dell’”identificazione sincronica”, grazie al quale il soggetto riconosce che i fatti che accadono all’altro potrebbero accadere al sé, per cui “la situazione che l’altro vive sarà percepita come se la si vivesse in prima persona”[4].

In tale prospettiva, la separatezza dell’Io fonda l’empatia. La coscienza di sé come entità separata ne è la condizione.

E’ capace di reale empatia solo chi è capace di differenziazione del sé. Non si dà empatia nell’indifferenziazione. Infatti non si dà empatia nell’infanzia, né nel misticismo (tema che intercetterò nel prosieguo), ovvero in tutto ciò che è “a-fasia”.

Non si dà empatia nell’assenza di parole, nell’assenza di “Discorso”. Il soggetto dell’empatia è l’άνθροποσ parlante, l’uomo razionale adulto “compos sui”, padrone di sé nell’accezione della sapienza classica, cioè pienamente consapevole e responsabile delle proprie “emissioni” (operazioni mentali, emotive, pratiche).

L’empatia passa necessariamente attraverso la mediazione del sé cosciente, si basa sulla mediazione cognitiva tanto quanto sull’attivazione emotiva spontanea. In un certo senso è una “proiezione del sé”, un processo di identificazione. Nello stesso tempo essa è impressione che l’altro produce sul sé (insight), movimento dall’altro al sé, che si produce nello scarto fra i due termini.

Troviamo qui implicitamente delineata la dialettica fra irriducibilità del sé ed irriducibilità dell’altro, che costituirà l’oggetto principale della nostra trattazione.

In continuità col precedente autore si collocano Vreeke e Van der Mark, che mettono in evidenza l’irrinunciabilità del fattore comunicativo nel quadro di una concezione dell’empatia come esperienza essenzialmente sociale.

L’empatia evoluta è risposta specifica individuale a una specifica domanda dell’altro. Questa centratura sulla risposta al bisogno dell’altro è l’emozionalità reattiva, che motiva il comportamento pro sociale, perché “porta a capire il punto di vista dell’altro, a condividere la sua sofferenza, a preoccuparsi per lui e, quindi, a cercare di offrigli conforto, interpretando la sua sofferenza come una richiesta d’aiuto” [5].

Tale risposta empatica è determinata da fattori relazionali e comunicativi: la struttura di personalità di entrambi i soggetti, le esperienze relazionali vissute (in primis la relazione di accudimento primaria) e attuali, i ruoli sociali con relativo “sistema di giudizio”, il “sistema personale di controllo delle emozioni”.

Il contesto comunicativo interviene nella regolazione del mantenimento o del cambiamento delle risposte empatiche.”Se riusciamo a confortare con successo l’altro, in situazioni future ripeteremo questo comportamento. In caso contrario, cercheremo di fare tesoro dell’esperienza e, in futuro, modificheremo la nostra risposta empatica”[6].

La reattività empatica è indissolubilmente connessa al dialogo, in senso ampio, come sistema delle relazioni sociali in cui gli individui sono inseriti ed esercitano dei ruoli, in senso stretto, come confronto esplicito fra l’io e il tu.

Se sul piano dell’analisi sociale Io e Tu ci vengono incontro quali entità psicologiche, sul piano dell’analisi filosofica possono essere assunti come dimensioni o strutture dell’Essere.

Entrambe le prospettive convergono nell’identificare un apparente paradosso: l’empatia si attua nella padronanza di Sè, ma è nello stesso tempo sollecitata da un’irruzione dell’Altro che evoca la “sospensione del Sè”.

Questo Io che si mantiene e si perde, si conquista e si possiede intimamente proprio nel “donarsi”, non cessa di sorprenderci e provocarci.

L’empatia non si dà nell’”afasia”, ma sì nello “stupore”.

I luoghi rogersiani

Stupore ci coglie a fronte della grandiosità e al tempo stesso semplicità della visione di Carl Rogers, considerato a ragione il padre dell’empatia nella psicologia moderna.

Le relazioni interpersonali sono al centro della ricerca di Rogers, nella loro concretezza di rapporti ordinari e “straordinari” (terapeutici).

In una prospettiva di “empirismo”[7] antispecialistico, Rogers non distingue fra le due tipologie, considerandole accomunate dalla medesima struttura nella misura in cui si orientano all’obiettivo principe del fare umano: lo sviluppo del potenziale personale.

La relazione connotata in questo senso diventa in se stessa “relazione d’aiuto”, ovvero “capace di promuovere la crescita della persona”.

“Con questo termine mi riferisco ad una relazione in cui almeno uno dei protagonisti ha lo scopo di promuovere nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità e il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato nell’altro”[8].

Tale ambito può includere rapporti di ogni tipo: le relazioni affettive (tra partners, amici, genitori e figli), professionali (datore di lavoro – dipendenti, insegnante – allievo, medico – paziente, psicoterapeuta – cliente, educatore – utente), politiche (leader – gruppo, rappresentante – rappresentati).

Questi rapporti acquistano la natura di relazioni di aiuto nella misura in cui si finalizzano intenzionalmente alla crescita: dell’altro e propria.

Per esercitare efficacemente questa funzione, la relazione deve depurarsi di ogni intento manipolativo ed assumere consapevolmente le seguenti qualità: la congruenza, la considerazione positiva incondizionata, l’empatia. Sono i tre elementi costituivi della relazione d’aiuto, noti nella letteratura come “triade rogersiana”.

Nello sforzo incessante di chiarificare e divulgare il suo pensiero, Rogers è tornato più e più volte sulla descrizione di tali atteggiamenti, emergenti come efficaci dalla sua pratica. Vale la pena di riportarne per esteso la formulazione, presente nel cuore di “Un modo di essere”, il suo testo della maturità e quasi “testamento spirituale” .

“Vi sono tre condizioni che devono essere presenti affinchè si stabilisca un clima che determini la crescita. Queste condizioni valgono sempre, sia che si parli della relazione tra terapeuta e cliente, che di quella tra genitore e figlio, tra leader e gruppo, insegnante e studente, o amministratore e staff. Le condizioni si applicano, di fatto, ad ogni situazione il cui obiettivo sia la crescita di una persona. Ho già descritto queste condizioni in scritti precedenti; ne presento qui un breve riassunto dal punto di vista della psicoterapia, ma la descrizione vale anche per tutte le relazioni già ricordate.

Il primo elemento potrebbe essere definito genuinità, autenticità, o congruenza. Quanto più il terapeuta è se stesso (o se stessa) nella relazione, non erigendo alcuna barriera professionale o facciata personale, tanto più grande è la probabilità che il cliente si trasformerà e svilupperà in maniera costruttiva. Questo significa che il terapeuta è costituito dai sentimenti e dagli atteggiamenti che fluiscono nell’istante dato. Il termine “trasparente” rende bene l’idea di questa condizione: il terapeuta si rende trasparente al cliente; il cliente può vedere senza esitazioni ciò che il terapeuta è nella relazione; il cliente non sperimenta alcuna reticenza da parte del terapeuta. Per quanto riguarda il terapeuta, ciò che sta sperimentando è disponibile alla consapevolezza, può essere vissuto nella relazione, e quando sia appropriato può essere comunicato. Così, ha luogo uno stretto abbinamento, o congruenza, tra ciò che viene sperimentato a livello fisico, ciò che è presente alla coscienza e ciò che viene espresso al cliente.

Il secondo fattore di rilievo nel creare un clima adatto al cambiamento è l’accettazione, o il preoccuparsi, il valorizzare – tutto ciò che ho definito come “incondizionata considerazione positiva”. Quando il terapeuta sperimenta un atteggiamento positivo, accettante verso qualunque cosa il cliente è in quel momento, un movimento terapeutico o cambiamento ha maggiori probabilità di accadere. Il terapeuta è desideroso che il paziente si apra a qualunque sentimento si affacci – confusione, risentimento, paura, rancore, coraggio, amore, orgoglio. Una simile attenzione da parte del terapeuta è di tipo non possessivo; egli valorizza il cliente in modo totale anziché condizionale.

Il terzo elemento facilitante di una relazione è la comprensione empatica. Questo significa che il terapeuta percepisce accuratamente i sentimenti e i significati personali che il cliente sta sperimentando, e comunica questa comprensione al cliente. Quando opera al meglio, il terapeuta è così calato all’interno del mondo privato dell’altro, che può mettere in luce non solo i significati di ciò di cui il cliente è consapevole, ma anche quelli che si trovano al di sotto della superficie cosciente. Questo genere di ascolto attivo, sensibile, è eccezionalmente raro nelle nostre esistenze. Pensiamo di ascoltare, ma solo raramente ascoltiamo con una reale comprensione, con un’empatia vera. Eppure, questo tipo molto speciale di ascolto, rappresenta una delle forze più potenti, ai fini del cambiamento, che io conosca”[9].

In questo passo l’empatia si affaccia alla ribalta nella sua delicata ma dirompente forza rigeneratrice.

Il potere specifico dell’empatia è nel fungere da leva del cambiamento personale. “Una comprensione empatica ad opera di un altro consente alla persona di diventare un più efficace promotore di crescita per se stessa” [10].

L’empatia mette la persona in condizione di cambiare. O meglio, solo l’empatia mette la persona in condizione di cambiare, perchè promuove il processo di autoesplorazione che porta alla rigenerazione del sé.

Soltanto sentendo di essere compresa accuratamente ed accettata in relazione a ciò che esprime, la persona può accettare a sua volta lo strato di sé che sta mettendo in luce ed essere sollecitata ad approfondire l’analisi fino al fare contatto con la pienezza della propria “esperienza”.

L’accettazione dell’altro veicola l’accettazione di sé, in un virtuoso processo di rispecchiamento. L’accettazione è il presupposto della “cura”. Chi si scopre e si accetta senza giudicarsi, “incondizionatamente”, entra in uno stato di “amore per sè”, spesso inedito al suo vissuto (oltre che inattuale rispetto al modello culturale dominante), che apre all’attingimento della “vita piena”.

“Quando le persone sono accettate e valorizzate, tendono a sviluppare un atteggiamento di maggior cura verso se stesse. Quando le persone sono ascoltate empaticamente, diventa loro possibile prestare un ascolto più accurato al flusso delle esperienze interiori. Ma via via che una persona comprende se stessa, il Sè diventa più congruente con l’esperire”[11].

Per Rogers la “vita piena” è una dimensione accessibile all’uomo, purchè la si concepisca in un’ottica di “processo”. E’ un percorso sempre aperto, non un traguardo definitivo.

La vita piena consiste nell’aderire all’esperire. Essa è la direzione di sviluppo della “tendenza attualizzante”. “La “vita piena” è il processo evolutivo volto nella direzione ben precisa che l’organismo umano sceglie quando è intimamente libero di muoversi in qualsiasi direzione”[12].

Per Rogers la vita è fondamentalmente “flusso di esperienza”. Il concetto di esperienza è centrale nella sua visione, per quanto mai messo a tema attraverso una definizione univoca.

L’esperienza è la “corrente vitale”, in cui siamo immersi, non riducibile alla percezione sensibile, né all’emotività, né alla logica, ma comprensiva di questi e ulteriori orizzonti.

L’esperienza integrale comprende “il flusso continuo di sentimenti, emozioni e reazioni fisiologiche che proviamo interiormente”, tanto quanto “le idee, i sogni, gli stimoli esterni”, tanto quanto la partecipazione alla “più vasta tendenza creativa e formativa dell’universo”.

Si esplica in dimensioni consce e inconsce, sulle quali la coscienza umana ha la possibilità e il compito di “gettare luce” per accrescere la libertà di azione. “Nella psicoterapia abbiamo imparato qualcosa sulle condizioni psicologiche che sembrano le più propizie ad accrescere quest’autoconsapevolezza di estrema importanza. Se vi è una maggiore autoconsapevolezza, diventa possibile una scelta più informata, una scelta più libera dalle introiezioni, una scelta cosciente che è anche più in armonia con il flusso dell’evoluzione”[13].

Portare a coscienza l’inconscio per potenziare l’autodeterminazione: è l’assunto principale della psicanalisi. Il proprium della visione rogersiana consiste nella fiducia nel τέλος, nel Cosmo ordinato, nell’armonia quale struttura intrinseca e finalità dell’universo.

Secondo Rogers, ad ogni livello dell’universo, in ogni manifestazione di vita organica ed inorganica, può essere ravvisata all’opera una “tendenza formativa”, uno sviluppo verso forme sempre più complesse e coerenti. L’ordine e la complessità emergono dal processo di evoluzione, tanto quanto il disordine e la disintegrazione lo minacciano. In prospettiva tale ordinamento finalizzato prevale e si afferma sempre più.

“ Ipotizzo che ci sia nell’universo una tendenza formativa e direzionata, che può essere osservata e ricostruita nello spazio stellare, nei cristalli, nei microrganismi, nella più complessa vita organica e negli esseri umani. Si tratta di una tendenza evoluzionistica verso un ordine maggiore, una complessità più grande e un’interrelazione più articolata”[14].

Ad uno sguardo consapevole appare evidente che tale convinzione non può che poggiare in ultima istanza su un atto di fede. Probabilmente è proprio questo il movimento che l’ha generata. Rogers stesso non esita a riferirsi a questo livello di fiducia come “qualità mistica” o “consapevolezza trascendente”.

Da scienziato dell’umano, tuttavia, ne rinviene la convergenza con gli esiti più avanzati della ricerca scientifica contemporanea, quali la fisica del tutto di Fritjof Capra, la scienza della complessità di Ileya Prigogine, la “sintropia” di Albert Szent Gyorgyi, la “tendenza morfica” di Lancelot Whyte[15].

In tale prospettiva, ogni essere è un “organismo” autoregolantisi. L’organismo sa qual è il proprio “bene”, sa muoversi/farsi strada verso il proprio sviluppo ottimale, quando è liberato dagli ostacoli etero-imposti ed anche attraverso di essi.

“L’approccio centrato sulla persona ha le sue basi in una fiducia fondamentale negli esseri umani e in tutti gli organismi… Possiamo dire che c’è in ogni organismo, a qualsiasi livello, un flusso sotterraneo di movimenti verso una realizzazione costruttiva delle sue specifiche possibilità. Anche negli esseri umani c’è una tendenza naturale verso uno sviluppo più complesso e completo. Il termine che viene usato con maggior frequenza per indicare questo processo è “tendenza attualizzante”[16].

La vita è essenzialmente creatività. Vivere in pienezza significa esercitare la creatività al massimo grado consentito momento per momento dalle contingenze esistenziali.

La psicoterapia e la relazione d’aiuto creano le condizioni psicologiche per la libera esplicazione dello sviluppo. Attraverso l’empatia e l’accettazione incondizionata, aprono un varco fondamentale al superamento degli “atteggiamenti difensivi” e alla sperimentazione integrale dei vissuti dell’organismo.

“In una persona che riesce a essere completamente aperta alla propria esperienza, ogni stimolo, derivi esso dall’organismo o dall’ambiente, viene liberamente elaborato dal sistema nervoso, senza alcuna distorsione dovuta a meccanismi difensivi… Il soggetto diventa capace di ascoltarsi, di sperimentare ciò che accade dentro di lui. E’ più aperto ai propri sentimenti di timore, scoraggiamento e pena, ma anche a quelli di coraggio, di tenerezza e di curiosità. E’ in grado di vivere sino in fondo le esperienze del proprio organismo senza doverle respingere al di fuori della coscienza”[17].

L’esito del processo di apertura all’esperienza è il possesso di sé: la libertà di essere “tutto” se stesso in ogni momento, “tutta la ricchezza e la complessità di sé, senza nascondere o temere niente”[18].

In tale libertà l’individuo si apre naturalmente alla socialità, è incline alla valorizzazione degli altri tanto quanto alla valorizzazione di se stesso.

“La persona pienamente funzionante… è capace di vivere tutti i propri sentimenti senza sentirsi da essi minacciata, è giudice di se stessa, ma un giudice aperto e disposto a valorizzare tutti i dati da qualsiasi parte derivino; è integralmente impegnata nel processo di essere e divenire se stessa, e in tal modo scopre di essere profondamente e realisticamente sociale. Vive totalmente nel momento attuale, ma scopre, a lungo andare, che è quello il modo di vivere più soddisfacente”[19].

La relazione autentica è via d’acceso privilegiata alla libertà. In quanto adesione al divenire, la libertà è accoglienza piena del momento presente, in uno stile di vita che adotta la fluidità quale cifra distintiva. Assumere la propria complessità equivale ad assumere il divenire.

“Tale modo di vivere momento per momento significa assenza di rigidità, di organizzazione stretta, di imposizione di strutture sull’esperienza; significa al contrario grande adattabilità, capacità di scoprire delle strutture nell’esperienza, organizzazione fluida e mutevole del sé e della propria personalità[20]

Nella fluidità della libertà, congruenza, accettazione incondizionata ed empatia si confermano i criteri di orientamento del comportamento, in quanto ottimizzano il proprio sviluppo in interazione armonica con l’ambiente.

Si potrebbe dire che Rogers parte dall’empatia nella sua pratica professionale e ritorna all’empatia negli esiti del suo sistema. L’empatia è il leit motiv della sua riflessione.

Seguiamo il percorso da una formulazione acerba ad altre più esaustive, rintracciando gli elementi di continuità e quelli di sviluppo.

La continuità è data dall’identificazione dell’essenza dell’empatia come comprensione profonda dell’altro a partire dalla centratura su di sé.

“Sentire il mondo più intimo dei valori personali del cliente come se fosse proprio, senza però mai perdere la qualità del “come se”, è empatia”[21].

Fin da “La terapia centrata sul cliente” (la cui prima edizione americana risale al 1951), questa definizione viene maggiormente articolata.

“Lo stato di empatia, dell’essere empatico, è il percepire lo schema di riferimento interiore di un altro con accuratezza e con le componenti emozionali e di significato ad esso pertinenti, come se fossimo una sola persona – ma senza mai perdere di vista questa condizione di “come se”. Significa perciò sentire la ferita o il piacere di un altro come lui lo sente, e percepirne le cause come lui le percepisce, ma senza mai dimenticarsi che è come se io fossi ferito o provassi piacere, e così via. Se questa qualità di “come se” manca, allora lo stato è quello dell’identificazione”[22].

Troviamo qui espressi due concetti cardine della trattazione rogersiana, sviluppati in tutti gli scritti successivi e sviscerati nel capitolo settimo di “Un modo di essere” (pubblicato nel 1980).

Primo: l’empatia è sintonizzazione con l’altro. Chiave dell’atteggiamento terapeutico è la capacità di cogliere il sistema di riferimento interno del cliente, di aderirvi con la massima fedeltà e finanche di interpretarlo nelle valenze inespresse (ma senza mai aggiungervi alcunchè di improprio)[23].

Empatizzare significa sintonizzarsi sulle emozioni e sui significati dell’altro, che è quanto dire sui suoi sentimenti e pensieri.

L’empatia è essenzialmente ascolto sensibile dell’altro, finemente sintonizzato sui suoi vissuti.

“Un modo empatico di essere con un’altra persona ha molte angolature. Significa entrare nel mondo percettivo dell’altro e trovarcisi completamente a casa. Comporta una sensibilità, istante dopo istante, verso i mutevoli significati percepiti che fluiscono in quest’altra persona, dalla paura al furore, alla tenerezza o confusione, o qualunque altra cosa stia provando. Significa vivere temporaneamente nella vita di un altro, muovendocisi delicatamente, senza emettere giudizi; significa intuire i significati di cui l’altra persona è scarsamente consapevole, senza però svelare i sentimenti totalmente inconsci, poiché ciò sarebbe troppo minaccioso. Coinvolge la comunicazione delle vostre percezioni del mondo dell’altro, del quale osservate con sguardo sereno e nuovo quegli elementi che l’altro teme di più. Significa controllare frequentemente in compagnia dell’altro l’accuratezza delle vostre percezioni, ed essere guidati dalle reazioni che ricevete. Siete il compagno fiducioso nel mondo interiore dell’altro. Segnalando i possibili significati nel flusso dell’esperire di un’altra persona, l’aiutate a concentrarsi su questo prezioso punto di riferimento, a sperimentare più compiutamente i significati, e a procedere nell’esperienza”[24].

Secondo: l’empatia non è identificazione con l’altro. Condizione essenziale per poter immedesimarsi nei vissuti dell’altro senza perdersi in essi, è possedersi: disporre di un’identità ben definita e salda, avere chiaro il senso dei propri confini.

“Essere con un altro in questo modo significa che per il periodo in cui vi ci trovate, mettete da parte le vostre concezioni e valori personali per entrare nel mondo di un altro, senza pregiudizi. In un certo senso, significa che voi stessi vi mettete da parte; questo può essere fatto solo da persone che sono abbastanza sicure di sé da sapere che non si perderanno in ciò che nel mondo dell’altro potrebbe risultare strano o bizzarro, e che possono comodamente ritornare al loro mondo personale appena lo desiderano”[25].

Il paradosso dell’empatia

Queste magistrali formulazioni circoscrivono il nucleo del paradosso inerente l’empatia e rilanciano la palla della riflessione critica.

La grande sfida che l’empatia sottopone alla speculazione filosofica ruota attorno alla sospensione dell’ego da essa evocata.

Come può sospendere se stesso un “essente” (l’Io), il cui tratto costitutivo è l’originarietà, al punto che ogni atto di coscienza non può essere concepito che come sua posizione?

Per il “soggetto trascendentale”, fondamento assoluto della realtà fenomenica, sospendersi non equivale a negarsi e negarsi a riaffermarsi?

Assumendo questa prospettiva, ogni movimento verso l’Altro resta “ancorato” all’orizzonte dell’ego, che si conferma in ultima istanza irriducibile.

Tale è l’esito di un filone importante del pensiero occidentale moderno, che definiamo tradizionale o “soggettivista”.

Ad esiti opposti conduce l’assunzione di diversi presupposti ontologici, propri di correnti più decentrate o “eretiche” (per quanto “ortodosse” nel loro orizzonte di riferimento).

Non si tratta di questioni astratte, ma gravide di conseguenze pratiche, nella misura in cui alludono a diverse prospettive etiche. Diversità irriducibili o comparabili, al punto da trovare un terreno di integrazione?

Istituire un confronto fra tali prospettive e verificarne la compatibilità è l’obiettivo principale del mio studio, nonchè esplicitarne l’influenza sull’impostazione e la qualità della prassi di counseling.

Rogers non prefigura questi interrogativi, pertinenti ad un’indagine di natura prettamente filosofica, ma ne pone descrittivamente i termini e delinea l’orizzonte concettuale di riferimento.

Altri “scienziati dell’anima”, a lui precedenti o contemporanei, appartenenti ad altri “mondi” (in senso sia geografico che culturale) dipanano un’analisi che rientra direttamente in questo campo speculativo o può esservi connessa con fecondi sviluppi.

Interessato prioritariamente alla pratica, Rogers dedica la vita ad approfondire le condizioni di possibilità della relazione d’aiuto, concepita quale modello positivo di relazione interpersonale. La psicoterapia è arte della relazione nella misura in cui la vita è arte della relazione. Affinare la propria capacità di essere “artisti” in questo senso è il compito etico principe degli individui, cui è riconosciuta la facoltà di “cambiare il mondo”, per renderlo sempre più congruente all’Armonia.

In tale prospettiva, l’empatia non è semplicemente una competenza tecnica, ma “un modo di essere”: “complesso, esigente e forte, e al tempo stesso sottile e delicato”[26].

Correlativamente a tale afflato, Rogers conserva la lucidità critica necessaria a non assolutizzare le sue posizioni, che sottopone al dubbio nell’istante in cui le formula.

“Un altro quesito che mi pongo è questo. Posso entrare completamente nel mondo dei sentimenti e dei significati personali di un altro, in modo da percepirli così completamente da perdere ogni desiderio di valutarlo e di giudicarlo? Posso entrarci in modo così sensibile da potermi muovere liberamente, senza calpestare dei significati per lui preziosi? Posso scrutarlo in modo così fine da poter afferrare non solo i significati dell’esperienza per lui ovvi, ma anche quelli che sono impliciti, che egli vede solo oscuramente o confusamente? Posso estendere senza limiti questa comprensione?” [27].

Nel prosieguo della ricerca raccoglierò questi interrogativi e li connetterò ad indagini che hanno condotto altri importanti studiosi in epoca coeva o leggermente anteriore in contesti completamente diversi e secondo approcci estranei alla psicologia ed ancorati alla riflessione filosofica.

Mi piace interrompere l’analisi su questa apertura ad un orizzonte di interrogazione dell’ovvietà, consono all’autentica ispirazione filosofica ed imposto dalla brevità dello spazio a disposizione, sperando di aver lanciato delle provocazioni che possano suscitare in chi legge il desiderio di approfondire in autonomia, con il supporto delle proprie guide (personali o ideali) o, perchè no, inaugurando uno scambio dialogico con l’autrice.

Resto a disposizione dell’Istituto Punto Gestalt, qualora avesse piacere di divulgare le tappe successive di questo percorso attraverso la pubblicazione di ulteriori contributi.

Bibliografia

ALBIERO PAOLO E MATRICARDI GIADA, Che cos’è l’empatia, Carocci, Roma 2006

ROGERS CARL R., La terapia centrata sul cliente, Giunti, Firenze 2013

ROGERS CARL R., Un modo di essere, Giunti, Firenze 2012

Articolo pubblicato sul n° 14 della rivista Passaggio in volo, quaderno di approfondimento dell’Associazione Punto Gestalt “PEGASUS”, Supernova, Mestre Luglio-Dicembre 2017.

  1. ALBIERO P., MATRICARDI G., Che cos’è l’empatia, Carocci Editore, Città di Castello (PG) 2015, p. 31.
  2. Ivi, p. 42.
  3. Ivi, p. 44.
  4. Ivi, p. 45.
  5. Ivi, p. 48.
  6. Ivi, pp. 49-50.
  7. Con tale termine ci si riferisce alla valorizzazione dell’esperienza quale “corrente vitale” tipica della prospettiva rogersiana, non all’empirismo “filosofico” di matrice pre-illuminista (Locke, Berkeley, Hume) che individuava nell’esperienza sensibile il fondamento della conoscenza.
  8. ROGERS C. R., La terapia centrata-sul-cliente, Giunti, Firenze 2013, p. 65
  9. ROGERS C. R., Un modo di essere, Giunti, Firenze 2012, pp. 125-126.
  10. Ivi, p. 168.
  11. Ivi, p. 126.
  12. ROGERS C. R., La terapia centrata sul cliente, op. cit., p. 182.
  13. ROGERS C. R., Un modo di essere, op. cit., p. 137.
  14. Ivi, p. 143.
  15. Cfr. CAPITOLO SESTO in ROGERS. C. R., Un modo di essere, op. cit.
  16. Ivi, p. 127.
  17. ROGERS C. R., La terapia centrata sul cliente, op. cit., p. 183.
  18. Ivi, p. 168.
  19. Ivi, p. 187.
  20. Ivi, p. 184.
  21. Ivi, p. 89.
  22. ROGERS C. R., Un modo di essere, op. cit., pp. 148-149. L’autore riporta questa definizione come esempio di una delle sue formulazioni dei primordi.
  23. Cfr. ROGERS C. R., La terapia centrata-sul-cliente, op. cit., pp. 89-90: “ Sentire la sua confusione (del cliente), o la sua timidezza, o la sua ira o il suo sentimento di essere stato trattato ingiustamente come se fossero propri, senza tuttavia che la propria insicurezza, o la propria paura, o il proprio sospetto si confondano con i suoi, questa è la condizione che sto cercando di descrivere e che ritengo essenziale per instaurare un rapporto produttivo. Quando il terapeuta ha chiaro il mondo del cliente tanto da potercisi muovere liberamente, allora può sia comunicare al cliente la propria comprensione di ciò che è a lui noto, vagamente, sia dare a certe esperienze dei significati di cui il cliente stesso è scarsamente consapevole. E’ questa specie di empatia profondamente sensibile che è importante per rendere capace una persona di avvicinarsi a se stessa, di imparare, di modificarsi e di evolvere”.
  24. ROGERS C. R., Un modo di essere, op. cit., pp. 150-151.
  25. Ivi, p. 151.
  26. Ibidem.
  27. ROGERS C. R., La terapia-centrata-sul-cliente, pp. 78-79.
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